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| Titolo: Tanzi dopo il crac è ancora cavaliere del lavoro Ven Set 11, 2009 5:11 pm | |
| Tanzi dopo il crac è ancora cavaliere del lavoro a 6 anni dallo scandalo Parmalat Non è il solo: a Poggiolini fu data, e mai revocata, la medaglia d’oro per la sanità
MILANO — Sono passati quasi sei anni dal crac Parmalat. Un «buco » da 15 miliardi, 40 mila risparmiatori truffati, i bond di Collecchio sinonimo di spazzatura. Insomma una storia che ha fatto il giro del mondo, insieme alla faccia del cavalier Calisto Tanzi. Lui ha ammesso molte responsabilità. Nove mesi fa è stato condannato in primo grado a Milano a dieci anni per aggiotaggio e ostacolo alle attività di vigilanza. A Parma ha patteggiato due anni per la bancarotta Eurolat. Il processo principale sulla bancarotta del gruppo è in corso.
Il cavalier Calisto è il simbolo di questo storico crac. Cavaliere? Sì, per lo Stato italiano Tanzi è tuttora degno del titolo di Cavaliere del Lavoro: l’onorificenza non gli è stata revocata né la pratica, a quanto pare, è stata avviata. E il suo nome, insieme a quello di migliaia di italiani benemeriti, compare negli elenchi tenuti «in continuo aggiornamento» dalla Presidenza della Repubblica. Un Cavaliere del Lavoro è un uomo, dice la legge 194 del 1986, che tra l’altro deve «aver tenuto una specchiata condotta civile e sociale» e «non aver svolto né in Italia né all’estero attività economiche lesive dell’economia nazionale». Come Tanzi, evidentemente. Dunque mentre Bernard Madoff in otto mesi è passato dalle stelle alle celle, il nostro «campione» nazionale dopo sei anni è ancora Cavaliere del Lavoro. Non è tutto, Tanzi gode ancora di un’altra onorificenza ufficiale della Repubblica: la medaglia d’oro (ci sono anche argento e bronzo) ai benemeriti della cultura e dell’arte che «premia – è la motivazione formale – quanti hanno illustrato la Nazione», in questi campi. Ma che ha fatto? La qualifica è «mecenate ». Mecenate? Forse con i soldi degli altri, e mai restituiti.
Scartabellando negli archivi si scopre che l’ex patron di Collecchio dopo il cavalierato del 1984 e la medaglia d’oro del 1988, ha conquistato nel 1999, anno di faticosissimo lavoro per truffare mezzo mondo, anche il titolo di «Cavaliere di Gran Croce dell’ Ordine al Merito della Repubblica Italiana». Fra gli Ordini nazionali è il più importante ed è destinato a «ricompensare benemerenze acquisite verso la Nazione …». Insomma la Nazione ringrazia il cavaliere nonché medaglia d’oro Calisto Tanzi. Grazie. I titoli sono sempre lì, validi, attuali, belli in vista mai revocati. Eppure la procedura per indegnità è espressamente prevista. «Incorre nella perdita dell'onorificenza l’insignito che se ne renda indegno», dicono le norme. Ogni ordine potrebbe attivare autonomamente l’iter decisionale interno solo che, in realtà, tutti aspettano per prassi una condanna penale definitiva, con i tempi conseguenti (anche se non necessariamente l’indegnità è sinonimo di grave reato). Alla fine scatta il decreto di revoca del Presidente della Repubblica. Nella giungla delle benemerenze di Stato c'è di tutto. Per esempio un Roberto Calvi (Banco Ambrosiano), Cavaliere del lavoro e «Medaglia d’oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell’arte». Ma è morto e ai morti i titoli non si revocano. È il caso del Cavaliere di Gran Croce generale Giovanni De Lorenzo (il «golpista » del «Piano Solo») o di alcuni presunti boss mafiosi oppure di Umberto Ortolani. Il braccio destro di Licio Gelli nella loggia P2 è scomparso nel 2002 e chissà se è mai stato privato del titolo di «Grande Ufficiale al merito della Repubblica» o se ha portato la medaglietta verde nella tomba. Intanto il Vaticano l’aveva cancellato dalla lista dei «Gentiluomini di Sua Santità», il più alto riconoscimento per un laico. Forse in Italia nessuno come Duilio Poggiolini, il boss della malasanità, l’uomo dei lingotti d’oro, incarna meglio la figura del «delinquente di Stato». Oggi è imputato nel processo napoletano sul plasma infetto che avrebbe causato 2.605 morti tra il 1985 e il 2008. Anni fa, nella tangentopoli sanitaria, quando gli perquisirono la casa impiegarono dodici ore a catalogare il tesoro, nascosto anche nei materassi e nel pouf. Appeso alla parete aveva il titolo di Grande ufficiale al merito della Repubblica, quello «destinato a ricompensare benemerenze acquisite verso la Nazione». Non risulta che gli sia stato revocato. Ma l’apoteosi è quel riconoscimento (1977) di «Benemerito della salute pubblica» con il grado più alto: «Medaglia d’oro al merito della sanità pubblica». A Duilio Poggiolini.
Mario Gerevini | |
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