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 GEHRY,IL GIOCO DEL SERPENTE

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MessaggioTitolo: GEHRY,IL GIOCO DEL SERPENTE   GEHRY,IL GIOCO DEL SERPENTE 16gd9bkSab Set 26, 2009 4:57 pm

Gehry, il gioco del serpente

GEHRY,IL GIOCO DEL SERPENTE Gehry01g

Il grande architetto ispirato dal mondo animale. Da domani mostra-evento alla Triennale di Milano


GERMANO CELANT
Rispetto al carattere riduttivo e minimo di molta architettura precedente – che viveva in una logica essenzialmente di privazione iconografica a favore di materiali e di forme assolute e metafisiche, prive di figura, se non quella della geometria pura e lineare, al punto tale da rimuovere persino qualsiasi implicazione cromatica che, agendo per contrasto, non fosse omogenea – le architetture di Gehry fanno riferimento a una magnificenza formale e volumetrica, cromatica e figurale che comporta un alto valore espressivo.

Un atteggiamento che, intrecciato alla disposizione degli edifici ad arcipelago, come il Complesso residenziale Wosk (Beverly Hills, 1981-1984), lo avvicina a Wright nella sua Casa Helen Donahoe, nella Paradise Valley (Arizona, 1959), dove l’immagine del villaggio abitativo è veicolata nella progettazione di tre edifici, con funzioni diversificate, collegati tra loro da ponti perché collocati su differenti colline. Al pari, gli insiemi come la Norton Simon Gallery e dépendance (Malibu, 1976), e la Casa Spiller (Venice, 1979-1980), si distinguono per materie e colori, intrecci e innesti di spazi e di motivi, si offrono per la loro presenza informe, quale transito tra visibile e invisibile, occultato e scoperto. Vivono di incontri antitetici e complementari, quasi volessero, in maniera iconoclasta, distruggere qualsiasi immagine unica, violarne l’apparenza monolitica e ricercare un’altra essenzialità che non si affida più a un’idealità, ma a una vitalità plurima e comunicativa dell’architettura.

Adottando un paragone con la storia dell’arte, facendo ricorso all’iconografia di san Sebastiano, l’innovazione sta nel trafiggere il corpo e smembrarlo per recuperarne l’immagine non solo esterna, ma interna. Pensarla quale velo che è trasparenza, ma che rivela la carne, così da evitare qualsiasi ascesi metafisica a favore di un’architettura incarnata che è impasto di epidermide e di materia. Al tempo stesso, in Gehry lo statuto di un oggetto architettonico accanto all’altro deriva dall’interesse per Giorgio Morandi, in cui la presenza del medesimo motivo, la bottiglia, subisce un’interpretazione molteplice. Dove l’artista mette instancabilmente in discussione una sola immagine o un solo elemento, ma lo sottopone a variazioni cromatiche e pittoriche infinite. È quanto succede, rispetto a Wright e Morandi, nel Complesso residenziale Wosk, dove l’abitazione è una collezione di piccoli edifici che riflettono specularmente, per le loro diverse forme e i differenti colori, l’aspetto eclettico del quartiere, fino al progetto dell’Ohr O’Keefe Museum of Art, Biloxi, 1999-2009.

Entrando invece in una dimensione più ludica, gli effetti emergenti di un’architettura che negli anni ottanta vive sul «montaggio» variabile sembrano venire a Gehry anche dalla libertà di articolazione che era legata ai giocattoli «transformer» dei figli Alejo e Sammy. I robot scomponibili e componibili sono macchine dagli scambi multipli e dalle permutazioni complesse che presentano un’autoespressività tale da favorire l’abbandono a un pensiero che sovrappone molti strati di espressività processuale. Un desiderio di declinare, tra pittura e gioco, tutte le possibili pieghe dell’architettura e una tattica operativa che crede nei registri multipli del pensiero progettuale, il cui senso va continuamente messo in discussione e in movimento. Ispirandosi al corpo del pesce, e poi del serpente, a cui è ricorso in memoria della sua infanzia e del suo interesse per il mondo naturale, rivisto secondo una prospettiva orientale, quella delle stampe giapponesi, Gehry ha mirato prima alla pelle quale estensione dell’architettura e del suo spazio. Si è soffermato sulle squame e sulle scaglie dell’immagine zoomorfa e ha tradotto questa in un perimetro murario, pittorico e plastico, tanto strutturale quanto fenomenico. Ha adottato la superficie intensa e temporale che si aggetta e punge per farla risultare il vero punto di dislocazione progettuale: una liquidità di forme che è stata certamente influenzata, oltre che da un pensiero zoomorfo, anche dal suo profondo interesse per Notre Dame du Haut (Ronchamp, 1950-1955), di Le Corbusier, e per il Goetheanum (Dornach, 1924-1928), di Rudolf Steiner, quanto da un ricorso a materie grezze derivato dall’uso di superfici lignee di Rudolph Michael Schindler e delle superfici metalliche di Richard Neutra.

Ecco perché, sin dal 1964 nella Casa-studio Danziger (Hollywood), e in seguito nel 1968 con il fienile della fattoria O’Neill (San Juan Capistrano), sino alla copertura in titanio del Guggenheim Museum di Bilbao, l’avvolgimento e la pelle dell’edificio sono argomento di profondità, sul tattile e sull’ottico, del corpo dell’architettura: essi significano estensione, tessuto e parete capaci di un effetto di alterazione e di movimento del costruito. La sua soggettività passa di conseguenza su e attraverso la superficie, così da avvicinare la sua architettura alla pittura, là dove contano gli strati e le accumulazioni cromatiche e segniche, un linguaggio progettuale che si dilata poi nella scultura, dove i lembi e le superfici si curvano e si alzano, strato dopo strato, fino a comporre un insieme caotico e informale, iconico e narrativo. Il senso di vivacità pittorica e scultorea Gehry lo deve, sin dal 1964, ai suoi dialoghi con artisti quali Ed Moses, Charles Arnoldi e Robert Irwin, e in seguito si arricchisce delle discussioni e delle collaborazioni con Richard Serra, Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen. Per questi il tutto plastico, che include arte e architettura, è impasto e forma, curvatura e immagine, mentre il risultato dipende sempre da uno schizzo o da un modello, qualcosa che è tattile e palpabile, prima di diventare un elemento o un artefatto a grande scala. Ecco la logica di un procedere «artistico» che Gehry adotta cercando le idee nell’ammasso di linee, tracciate a mano, e di materie trovate, dal legno al cartone, dalla pomice al chain link, dal foglio di plastica alla rete metallica che da brandelli senza forma si avviano lentamente, dopo infinite manipolazioni, a diventare determinazioni architettoniche.

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MessaggioTitolo: Re: GEHRY,IL GIOCO DEL SERPENTE   GEHRY,IL GIOCO DEL SERPENTE 16gd9bkDom Set 27, 2009 9:08 am

che sfizio quel palazzo!
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MessaggioTitolo: Re: GEHRY,IL GIOCO DEL SERPENTE   GEHRY,IL GIOCO DEL SERPENTE 16gd9bkDom Set 27, 2009 10:08 am

LE VELE DI SCAMPIA

Le vele di Scampia sono abitazioni costruite nell'omonimo quartiere della città di Napoli tra il 1962 e il 1975; prendono il nome dalla loro forma triangolare che ricorda appunto quella di una vela, larga alla base e che va restringendosi man mano che si va verso i piani superiori. Identiche costruzioni, ma bellissime e curatissime, sono a Cagnes[senza fonte], in Francia, e sono visibili nelle foto della città francese.
Nate a seguito della legge 167 del 1962, le sette vele di Scampia (progettate dall'architetto Franz Di Salvo) facevano parte di un progetto abitativo di larghe vedute che prevedeva anche uno sviluppo della città di Napoli nella zona est, ovvero Ponticelli. Esse restano, nonostante tutto, l’opera realizzata che meglio rappresenta la poetica architettonica di Franz Di Salvo. L'esordio di Di Salvo nell’ambito della progettazione per l’edilizia economica e popolare risale al 1945 con la realizzazione, in collaborazione con altri architetti, del Rione Cesare Battisti a Poggioreale, che rappresentò all'epoca il paradigma di una «nuova maniera di pensare» la residenza sociale. Dopo anni di continue sperimentazioni progettuali, si vide affidare dalla Cassa del Mezzogiorno l’incarico di realizzare a Scampìa un grande complesso residenziale. Ispirandosi ai principì delle unitès d’habitations di Le Corbusier, alle strutture «a cavalletto» proposte da Kenzo Tange e più in generale ai modelli macrostrutturali, Di Salvo articolò l’impianto del rione su due tipi edilizi: a «torre» e a «tenda». Quest’ultimo tipo, che imprime l’immagine predominante del complesso delle Vele, è contraddistinto (in sezione) dall’accostamento di due corpi di fabbrica lamellari inclinati, separati da un grande vuoto centrale attraversato dai lunghi ballatoi sospesi ad un’altezza intermedia rispetto alle quote degli alloggi. Erano inoltre previsti centri sociali, uno spazio di gioco ed altre attrezzature collettive. La mancata realizzazione di questo «nucleo di socializzazione» è stata certamente una concausa del fallimento.
Se è vero infatti che la qualità tecnica ed estetica delle Vele sia fuori discussione, resta altresì innegabile la «inabitabilità» delle stesse, anche per ragioni che vanno aldilà dell’architettura.
Il fallimento urbanistico del razionalismo italiano: le Vele oggi [modifica]


Le vele di Scampia sono costruzioni in degrado, tutt'oggi sono occupate da due zone di spaccio. Entrando in una Vela si ripercorre idealmente il "Vicolo" napoletano: sui larghi corridoi che collegano le unità abitative si sentono le "voci" di chi ci abita, gli odori del cibo e nelle belle giornate, su quei ballatoi la gente si trattiene a chiacchierare.
L'idea del progetto prevedeva grandi unità abitative dove centinaia di famiglie avrebbero dovuto integrarsi e creare una comunità, grandi vie di scorrimento e aree verdi tra le varie vele; una vera e propria città modello, ma varie cause hanno portato a quello che oggi viene definito un ghetto, in primis il terremoto del 1980, che portò molte famiglie, rimaste senza tetto, ad occupare più o meno abusivamente gli alloggi delle vele: questo fece sì che varie furono le culture che si intrecciarono e come talvolta succede, a prevalere furono illegalità, abusivismo, prevaricazione in varie forme.
A questo intreccio di eventi negativi si è associata la mancanza totale della presenza dello Stato: il primo commissariato di Polizia fu insediato nel 1987, esattamente quindici anni dopo la consegna degli alloggi. La situazione ha allontanato sempre di più le persone "oneste" lasciando il campo libero alla delinquenza. Ecco che allora i giardini sono il luogo di raccolta degli spacciatori, i viali sono piste per corse clandestine, gli androni dei palazzi luogo di incontro di ladri e ricettatori.

VELE DI SCAMPIA:
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VELE FRANCESI:
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MessaggioTitolo: Re: GEHRY,IL GIOCO DEL SERPENTE   GEHRY,IL GIOCO DEL SERPENTE 16gd9bkDom Set 27, 2009 4:50 pm

SEMBRANO PROPIO VELE GEHRY,IL GIOCO DEL SERPENTE 707903
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MessaggioTitolo: Re: GEHRY,IL GIOCO DEL SERPENTE   GEHRY,IL GIOCO DEL SERPENTE 16gd9bk

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