Admin meryan Amministratrice
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| Titolo: Gerusalemme araba Mer Mar 10, 2010 12:00 am | |
| Gerusalemme araba
Tra chioschi di spezie e minuscole moschee LORENZO CAIROLI Porta di Jaffa. Passano dei giovani seminaristi drusi, passa un haredi di Satmar con lunghe peot, la barba rossa come il manto di un castoro, il pastrano zafferano con una fascia bianca, le calze nere, gli ampi copricapi, gli spidic streimel. Con questo caldo, anche se sara’ abituato, lo spidic streimel, penso, gli sarà gradito come una corona di spine. Tiene per mano due bimbe di un pallore eburneo, con occhi color fango e guarda avanti a sè come se la strada fosse deserta. Ogni persona, qui, è un libro di storia, la memoria di un paese lontano, una saga da raccontare. Qui i veri monumenti hanno grosse vesciche ai piedi e passeggiano lenti e ieratici per la vecchia Gerusalemme. Le vere sinagoghe ostentano barbe caprine e pastrani inzaccherati, le vere moschee sono anziani rugosi che giocano a carte in bar dove alle donne è vietato entrare. Cammino per le vie sinuose della vecchia Gerusalemme araba, tra bancarelle, vetri di Hebron, tappeti, falafel, chioschi di spezie, donne acciambellate a terra a vendere foglie di vite, bamia, gelsi. Mi imbatto in una moschea di appena 30 metri quadrati in cui pregano due esilissimi musulmani, due miniature. In uno dei punti più bui del suq con i soffitti così bassi che avanzo incurvando le spalle, vedo a fianco di una piccola porta, un cartello con la scritta ‘Sverige gasthüs’ e sotto, due stelle disegnate a matita, a imitazione di quelle che si appongono sotto alle insegne degli hotel. Un ragazzo pallido, con grossi piedi pallidi, racchiusi in un vecchio paio di sandali, siede sul gradino della porta e si torce le mani. Gli chiedo se la storia della gasthüs sia uno scherzo. Glielo chiedo senza malizia, perché come si fa a credere che qualcuno possa dormire lì? Cosa ci sarà dietro a quella porta-fessura? Una stanza, due letti, qualche stuoia su un tappeto? "Sono pieno fino ai primi di agosto " - mi dice il ragazzo con un sorriso trionfante. Poi si alza, si scrolla la polvere di dosso e mi allunga un biglietto da visita. Dalle parti dell"Haram es-Sharif, scugnizzi vendono file di cerotti. Ancora donne acciambellate a terra che vendono foglie di vite. Bamia piccolissimi, vaschette di gelsi bianchi e viola, gioielli bugiardi, l’odore del pane appena sfornato, il fritto dei falafel che stagna nell’aria. Spezie dal profumo intenso ardono nel sole. Venditori d’acqua col fez.
Lunghi vassoi ricolmi di pane appoggiati sul capo di ragazzi che fendono la folla con la leggerezza dei giocolieri. Nonostante su Gerusalemme dardeggi il sole, il mercato della carne è avvolto in un’oscurità infernale. Mi pare di camminare in una tela del Caravaggio. Trionfa l’agnello che gli arabi di Gerusalemme cucinano in tutte le sue parti. Centinaia e centinaia di lingue d’agnello divelte, e fegati scuri, intestini, cervella, zampetti, trippe arrotolate. Rigagnoli rossi scorrono intorno ai banchi della macelleria. Polmoni appesi ai ganci, in fila. Teste recise di netto. Milze, testicoli, ancora lingue con gli strappi sanguinanti. Allungo continuamente il collo. In un pallido lucore, un piccolo macellaio cala con rabbia una mannaia grottesca. Vicino a lui, un altro spacca a colpi di mazza la testa di un agnello per cavarne lingua e cervella. Riemergo. Torna la luce, frutta dappertutto. Mai visti tanti fichi e così diversi tra di loro. Sono il frutto di Israele, ma anche della Palestina. I neri d’America venivano chiamati, con sprezzo, watermelon man. Gli arabi, fig eaters. Il venditore me li illustra con moine da clown. "Bayadi, sawadi, hanadi" E’ una litania deliziosa. Quasi la formula magica di un gioco di prestigio. "Zuraqi, khurtmani, khudari, safari" Ne assaggio qualcuno. Aciduli alcuni, altri dolcissimi. Il safari è una mousse racchiusa in una buccia quasi nera. Mentre il venditore mi declamava i fichi, gatti randagi si rincorrevano nella polvere e nei rifiuti. L’immondizia è ovunque. Nel quartiere ebreo invece sembra di camminare nella Fifth Avenue. A Tiferet Ysrael, per terra, nemmeno i bastoncini dei ghiaccioli. Dei bambini con occhi furtivi e il collo sporco giocano sotto alla biancheria stesa ad asciugare. Dei vecchi giocano a carte. Altri stringono un bastone nel pugno e annusano la folla che gli sfila davanti. I venditori del suq attendono i clienti in piedi sulle soglie delle loro piccole botteghe, li carezzano con le parole, ma se quelli tirano dritto, li rincorrono e gli sussurrano nelle orecchie. Stesso modo di accostare la preda degli spacciatori di Amsterdam."Ti interessano topazi ? Topazi bellissimi ? Arrivati oggi dall’Afghanistan!" Stamattina tutti hanno topazi. ‘Bellissimi’ – giurano loro e appena arrivati dall’Afghanistan. Un commerciante tenta invano di vendermi dei gioielli. La sua bottega odora di cuoio come l’interno di un auto posteggiata troppo a lungo sotto al sole. Apprezzo, dopo un breve assedio, la cortesia con cui mi accoglie nella sua bottega senza secondi fini. Adesso vuole solo offrirmi del te e lamentarsi perché gli affari vanno male. "Questo suq è diventato un cimitero. La gente non compra più nulla. Solo cartoline. E se anche gli fai un prezzo di favore, non ci stanno perché hanno letto sulle guide che con gli arabi si tratta sempre!". A Khan el-Zeit il pane sulle bancarelle forma avvallamenti, dune, conche. Ha il colore e il calore della sabbia del Negev. Passo davanti alla pasticceria Zalatimo’s, dove ogni gerosolimitano o israeliano o palestinese o turista di passaggio ha peccato di gola e sospirato guardando le le konafa e le baklava esposte in vetrina. Da Oz a Said. Da Al-Barghuthi a Yehoshua. Da Richler a Lapierre. Da Grossman a Bellow.
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Loredana Moderatore
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l'amica del cuore Data d'iscrizione : 24.11.07
| Titolo: Re: Gerusalemme araba Ven Ago 20, 2010 11:24 am | |
| Bellissima descrizione e, ora che ho visto Gerusalemme, posso dire che è profondamente vera. | |
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