Ipazia e le sue compagne:
un progetto Unesco
PIERO BIANUCCIValorizzare il lavoro delle donne nel campo della ricerca astronomica è uno dei dieci obiettivi-cardine dell’Anno internazionale dell’Astronomia che si sta celebrando in 150 Paesi sotto l’egida dell’Unesco.
Proprio dalla sede Unesco di Torino, presieduta da Maria Paola Azzario Chiesa, parte ora l’iniziativa “Donne e astronomia, da Ipazia a oggi”, in collaborazione con l’Istituto nazionale di fisica nucleare di Torino, Università e Politecnico, Planetario Infini.To e altri enti. Il progetto è diretto alle scuole ed è sostanzialmente un percorso didattico con il fine di valorizzare le figure femminili di spicco in Piemonte, anche guardando all’Euro Science Open Forum, il convegno di tremila scienziati europei in programma nel luglio 2010 al Lingotto di Torino.
Il lancio dell’iniziativa avverrà il 10 novembre nell’aula magna del Rettorato dell’Università di Torino, in via Verdi 8, in occasione della celebrazione della Giornata Mondiale della Scienza da parte dell’Unesco. Un breve convegno di una mattinata, con inizio alle 9.
Seguiranno, da novembre a febbraio, corsi di formazione e incontri con insegnanti e genitori, il lavoro nelle classi e, nel maggio del prossimo anno, la valutazione e presentazione dei risultati.
Per altre informazioni ci si può rivolgere al Centro Unesco di Torino, viale dei Maestri del Lavoro 10, tel. 011- 696 54 76; info(at)centrounesco.to.it
Ipazia (nel dipinto “La Scuola di Atene di Raffaello”, dove è l’unico personaggio che guardi verso il pubblico), visse ad Alessandria d’Egitto intorno al 400 d.C.. Brillante matematica e prima donna astronomo della storia, fu uccisa da fanatici cristiani perché pagana e sostenitrice di audaci teorie scientifiche. A lei hanno dedicato un romanzo arrivato in questi giorni in libreria Adriano Petta e Antonio Colavito: “Ipazia. Vita e sogni di una scienziata del IV secolo” (La Lepre Edizioni), con prefazione di Margherita Hack.
Dopo Ipazia si apre nell’astronomia praticata dalle donne un grande vuoto, fino a Carolina Herschel, sorella di William e sua indispensabile collaboratrice nelle lunghe notti di osservazione. Grandi contributi hanno poi dato Henrietta Leawitt, con la scoperta del rapporto periodo-luminosità nelle stelle cefeidi, e Annie Cannon, con la Classificazione di Harvard degli spettri stellari. Tra le contemporanee, spicca Margareth Burbidge, che con il marito Geoffrey ha prodotto lavori fondamentali per la comprensione dell’evoluzione stellare e galattica. Tutte personalità femminili non abbastanza riconosciute.
Ma il caso più recente e clamoroso è quello di Jocelyn Bell, scopritrice delle pulsar (stelle di neutroni che si formano in seguito a collasso dell’astro).
Il 6 agosto 1967 a Cambridge, Inghilterra, la dottoranda Jocelyn Bell captò con il radiotelescopio della sua università un segnale estremamente regolare. Tanto regolare che per indicarne con precisione il periodo furono necessarie 10 cifre decimali: l’ultima rappresentava i decimi di miliardesimo di secondo. Lì per lì gli astronomi pensarono di aver trovato «omini verdi» alla ricerca di un contatto con i terrestri ma poi capirono che invece avevano scoperto la prima pulsar, cioè il primo esemplare di una stella collassata in un densissimo ammasso di neutroni.
Apprendevamo così che il cielo ha cronometri capaci di competere con i nostri, e Anton Hewish, professore e “barone” della Bell, ne ebbe il Nobel per la Fisica, mntre Jocelyn non fu neppure citata: cosa normale nel mondo accademico.
Ma Jocelyn Bell, che poi ha fatto comunque la brillante carriera che si meritava, è spiritosa: “Sono la signora No-Bell”, mi disse una volta sorridendo.
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