“Oh! Spavento lo stuol dei beffardi
“baldo insulta a quel volto divino,
“ove intender non osan gli sguardi
“gl’incolpabili figli del ciel.
“Come l’ebbro desidera il vino,
“nell’offese quell’odio s’irrita;
“e al maggior dei delitti gl’incita
“del delitto la gioia crudel.”
Parte II
L’eccesso di Amore da parte di Gesù, fu la Sua Passione nell’orto. L’Amore, come insegna San Gregorio Magno è una fiamma che non può star nascosta ma a seconda della sua intensità nel cuore dell’amante, cerca di patire, di seguire grandi cose per l’amato: “Amor si est, magna operatur”.
E, poiché il Sacro Cuore di Gesù ardeva di un intensissimo Amore per noi, così durante tutta la Sua vita terrena, anelava “come cerva sitibonda . . . .” a compiere la Sua grande opera: la Sua futura Passione. Erano, questi, altrettanti segni di quell’Amore che Gli divampava in petto.
E questo Suo Amore, divampò sino all’eccesso, allorché, celebrata la solennità della Pasqua con gli Apostoli e, quindi, istituito, dopo quella cena, il Sacramento dei nostri altari, mosse sollecito il passo verso il monte degli ulivi per dare inizio ai Suoi patimenti.
Quanto sei diverso, orto di Getsemani, in cui entra il secondo Adamo! Quando sei diverso da quello dell’Eden in cui fu collocato il primo Adamo! Quello conteneva in se tutte le meraviglie del mondo, questo, pieno di cardi e di spine che pungono; quello rallegrava i nostri progenitori con il suo giocondo paesaggio, questo intristisce con le sue vaghe ombre, Gesù.
Ma appunto perché Gesù voleva patire, scelse questo luogo particolare. In modo che se dalle delizie di un orto ebbe inizio la nostra rovina, dai dolori, dalle sofferenze di un altro orto, avesse inizio la nostra redenzione, la nostra salvezza.
Entrato, dunque, in quell’orto, il Figlio di Dio e piegatosi in atto di riverenza all’Eterno, il volto a terra, ecco che si turba, si scolorisce, si intimorisce. E dall’Evangelista Marco, leggiamo: “Cominciò ad aver paura, a tremare”.
E questa paura, in lui non è segno di debolezza! E’, invece, eccesso di Carità, eccesso di Amore. La tristezza non avrebbe potuto albergare in quel Cuore se Egli non l’avesse spontaneamente accettata. E volle accettarla, il Figlio di Dio, per conferire con le Sue tristezze, un coraggio divino ai figli degli uomini.
E continua a soffrire, Gesù. E a soffrire in modo tale che, pallido, indebolito, tremante, si abbandona con la faccia a terra. Lo hanno lasciato quei tre discepoli che, portati in quell’orto perché fossero testimoni della Sua Passione, così come lo furono sul Monte Tabor, se la dormono ai piedi di un ulivo !
La prima ragione di tanta tristezza in Gesù, fu la conoscenza dell’approssimarsi della Sua morte.
I più severi tribunali in tutti i tempi, per non dare ulteriore pena al reo, gli bendavano gli occhi, poiché sarebbe stata un’ulteriore tirannìa obbligare il reo a vedere lo spettacolo che precedeva il supplizio finale.
Ma Gesù, per quel Suo eccesso di Amore, non vuole usare per Se alcuna cautela. Vuole, anzi, che il Suo primo tormento sia quello di provare internamente al Suo animo, gli spasimi di dolore, prima di portarne le piaghe esternamente al Corpo.
Questo è, uno dei Suoi maggiori patimenti. Un dolore esorbitante, immenso che da solo sarebbe bastato a farLo morire. Non saprei, a questo punto, fratelli, che cosa considerare di più. L’eccesso di Amore di Gesù che fa miracoli per soffrire ancora di più o la nostra delicatezza che chiede miracoli appena accusiamo un minimo dolore.
. . . . al prossimo . .